Quanto sogni?

quanto sogni?La settimana scorsa sono andata ad un corso organizzato dalla mia ditta nella sede centrale. La docente (sapete che non lo faccio mai ma la cito perché è stata strepitosa) Giorgia Trapanese, ci ha intrattenuto per una giornata intera e non ce ne siamo accorti. Perché? Ha toccato tasti che di solito preferiamo tenere nascosti. E ci ha così permesso di leggerci dentro. Troppo frenetiche le nostre giornate per riuscire a farlo da soli e troppa poca esperienza nell’alfabetizzare questi concetti per la maggior parte di noi. Dopo averci fatto presentare, ci ha chiesto la nostra carriera scolastica e il ruolo che ci piacerebbe ricoprire in futuro. Fin qui ok. E la domanda successiva è stata “Sogni?”. Una parola che si è persa nell’aria del silenzio che in quel momento è regnato nella sala. Incredibile. Ci aspettavamo un corso sulle modalità comportamentali da tenere sul posto di lavoro e questa ci pone un quesito così? O è fuori lei oppure noi, tutti noi, non abbiamo capito niente. Abbiamo il lavoro impiegatizio per eccellenza, colletti bianchi per antonomasia, che hanno familiarità solo con numeri e calcoli. La domanda è sembrata quantomeno inappropriata e fuori luogo. Molti non sapevano cosa rispondere e guardavano lei, la mitica, attraverso il punto interrogativo che avevano negli occhi. E la Trapanese che fa? Sogghigna più che soddisfatta. Probabile che l’intento fosse proprio quello di coglierci di sorpresa. “Ragazzi, io ho cinquant’anni e sogno. Sempre. Tutti i giorni. E guai se non lo facessi. Non sarei qui”. Ma che forte. L’esempio che anche dopo l’adolescenza perdersi a vagare con la mente costruendo i tasselli di un futuro immaginato non è reato. Quasi si credeva ormai che fosse punibile per legge, tanto è raro trovare qualcuno che lo faccia. Non smettere di sognare, per parafrasare un’orrida fiction. Il concetto è quello. E da li un risveglio. Un vociare, un ridere, un raccontarsi. Ma che bello. A volte basta così poco per ridestare chi dorme e non lo sa. Con la sua esperienza di vita ci ha aperto gli occhi. “siete fortunati ad avere questo lavoro ma guardate avanti” ha detto. Alcune sue frasi me le sono segnate. E’ il vecchio modo di fare scuola, quello che a me piace tanto: creare l’esempio. Che esempi abbiamo noi giovani da seguire? Forse quello dei rappresentanti della nostra classe politica? O dei nostri manager tesi esclusivamente al profitto, in onore del quale sacrificano il lato umano e i sentimenti? Il futuro sono i giovani. L’ho sentito talmente tante volte che ormai è un refrain senza significato. E’ così difficile per noi andare avanti perché non abbiamo esempi, dobbiamo crearci il modello. Saremo noi il modello. E questo passa necessariamente attraverso un via lastricata di errori. Marchiani a volte, ma di certo non inutili allo scopo.

 

Giulia Castellani

 

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