Sfidare o sfidarsi?

Sfidare o sfidarsi?Le sfide che ci fanno crescere sono quelle con noi stessi. Ieri stavo stirando e ho sentito che qualcuno ha detto questa frase alla tv. Io stavo parlando con la mia amica che ha giusto girato in quel momento, quindi non ho sentito chi l’ha detto. Ma mi ha colpito. Ci affanniamo sempre per provare che siamo migliore di altri, nel lavoro e nella vita. Ci riempiono di sfide a scuola, al lavoro, durante i corsi. Prova quanto vali, recitava un titolo di un test che mi guardava da un giornaletto della parrucchiera. Ma perché sempre dimostrare? Per cosa? Per chi? “Se mi dimostri quello che sai fare in questo ufficio la promozione è tua. Altrimenti la do al tuo collega” disse tre giorni fa il mio capo. E che palle! Posso dirlo? Mi sono stancata di dover sempre dimostrare che valgo qualcosa, perlomeno secondo i loro parametri. Nei quali non è compreso né il cuore né il cervello. Solo chi riesce a vendere quanto. Non va bene così. Anche a scuola sin da bambini siamo sempre messi davanti a tipi di sfide diverse. Interrogati a due a due chi risponde per primo vince. In questo caso un bel voto. Che, a otto anni, è il centro della vita per alcuni tipi di ragazzini. Ricordo che, quando ero a scuola, le mamme dicevano “Che voto ha preso Margherita?” era la più brava della classe e in noi giovincelle ispirava un moto d’invidia irrefrenabile. E mai sopito fino alla fine del liceo. Qualunque voto avesse preso quella (che di solito slittavano dall’otto al dieci, mai sotto), la dolce mammina ti diceva “Dai che puoi arrivarci anche tu!”. Lei era incoraggiante poverina, ma così non faceva altro ce accrescere anche un senso di inadeguatezza che spesso non solo non ci portava a fare meglio, o quanto la Margheritina, ma ci buttava giù il più delle volte. Anche la frase “puoi fare meglio”. Ma meglio di cosa? O di chi? Ci sarà un metro di paragone sul quale basarti, no?! Il “meglio” sarà migliorativo rispetto a qualcos’altro, non può essere un concetto assoluto. E se il mio meglio non fosse il meglio di qualcun altro. Mah non riesco ad orientarmi in questa giungla in cui tutti sono alla ricerca del top, della perfezione. E allora è proprio vero quello che ho sentito per tv. Avevo pensato che fosse una delle solite sparate di ragazzi montati che parlano dalla casa del Grande Fratello. Invece deve averlo detto qualcun altro perché pensandoci è proprio così. Se io anziché paragonarmi agli altri penso a ‘sfidare’ me stessa posso fare qualcosa. Il principio è che se sono arrivata a li, posso arrivare anche la. È come quando vai a correre: i limiti che ti fissi cambiano con il tempo per raggiungere livelli sempre più alti. Deve essere così per forza. Diminuire i battiti e aumentare la prestazione. Ci vuole allenamento però. E forse noi non siamo abbastanza allenati a sfidare noi stessi. Perché è più comodo cercare negli altri un limite piuttosto che in noi stessi. È più comodo dire ‘io sono così, che ci posso fare?’. Ci si può fare e tanto ma è faticoso e bisogna spendere del tempo per l’allenamento. Dobbiamo imparare a correre per una maratona, anche nella vita. E, come nella corsa ci si sente liberi e scarichi di stress, si può fare anche con la nostra anima. Migliorandoci, provandoci davvero. Anche perché da una soddisfazione immensa vedere che ce l’hai fatta. Vi racconto questa. Durante la quaresima io rinuncio alla carne il venerdì, come è regola. Ma per me non è una grande rinuncia, non mi piace neanche tanto la carne, farei volentieri a meno per tutti i quaranta giorni e non mi costerebbe un gran sacrificio. L’anno scorso invece, ho deciso che come fioretto rinunciavo al cioccolato. È stata durissima. Io che spilucco anche finché sono al lavoro, che se non finisco il pasto con un kinder è come non avessi mangiato, che ormai sono socia onoraria della Ferrero Rocher. Eppure ce l’ho fatta.

 

Castellani Giulia

 

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