6 settembre 2000 (Romanzo epistolare)

Una vita difficile romanzo epistolareA un certo punto, dopo questa fase di prostrazione, avevo deciso si cambiare rotta, di operare una trasformazione della mia interiorità, del mio essere. Dovevo uscire dal tunnel, essere più coraggiosa e realista. Dovevo riconoscere di essere diversa e comportarmi di conseguenza. Dovevo adeguarmi alla realtà. Dovevo sforzarmi e riconoscere i miei limiti. In primo luogo dovevo tagliare i ponti con l’altro sesso. Era mia dovere cancellare l’altra metà del cielo. Non dovevo più considerare gli uomini. Loro dovevano uscire, anche in punta di piedi, dalla mia vita. Dovevo imparare a fare a meno di loro. Se loro rappresentavano un pericolo, dovevo eliminarli a qualsiasi costo anche a costo di rimetterci il cuore. In altre parole dovevo smettere di pensare ai ragazzi e non solo in modo transitorio. Non dovevano esistere per me, dovevo cancellarli dalla mente. Dovevo vivere senza di loro con tutte le conseguenze del caso. Dovevo evitarli, stare lontano il più possibile da loro. Se loro effettivamente erano la causa prima della mia rovina, della mia depressione dovevo eliminarli per il mio bene. Soprattutto per tutta la durata della gioventù dovevo stare alla larga da loro. Dovevo proteggermi dal gioco dell’amore, dagli strali di Cupido. Ero una donna e come tutte le donne ero troppo legata al concetto di amore. Ero troppo sensibile al fuoco d’amore, gli uomini li vedevo più rudi e cinici. Volevo essere come loro. Invidiavo gli uomini, la loro leggerezza nel condurre storie d’amore. Più cercavo di non pensarci più la vista di qualche bel ragazzo mi faceva salire il sangue alla testa. Ero una donna in carne ed ossa e non un manichino. Pregai Dio con tutta me stessa per non avere più simili turbamenti. Cominciai a pregare non più ad alta voce ma con la mente. Pregavo senza l’ausilio delle parole, mentalmente in modo sommesso, silenzioso e tale preghiera mi sembrava persino più efficace. Mi sembrava che qualcuno mi ascoltasse, ascoltasse il mio grido isterico. Le cose cominciarono ad andare nel verso giusto. Mi stavo riprendendo non senza fatica. Per me pregare divenne una necessità. Nessuno me lo aveva insegnato ma lo facevo spontaneamente. Pregavo mentre studiavo, mentre stavo male al letto, mentre guardavo la tv. Spesso alcune questioni mi si risolvevano per incanto. La preghiera specie quella personalizzata, fatta cioè con parole mie, era un punto di riferimento, un’ancora di salvezza. Pregavo mentalmente per la strada per scongiurare il pericolo di essere investita da un’auto pirata. Gli anni che seguirono furono anni densi di studio e preghiere. Studiavo di tutto, persino psicologia, astrologia, astronomia. Mi ero interessata ai segni zodiacali, agli influssi astrali, ai fenomeni paranormali. Di notte sognavo di essere miracolata, premiata per il mio zelo, per le mie assidue preghiere. Gli altri deridevano queste mie preghiere. Solo chi si trova nella mia situazione può capire. Una persona giovane pensa sempre che ci possa essere una svolta, una soluzione, una via d’uscita. Non si arrende anche di fronte all’evidenza. Pensa che non tutto può finire così, non lo ritiene possibile. La speranza è sempre l’ultima a morire. La speranza non mi abbandonava. Più studiavo più mi si apriva la mente e capivo la miseria della condizione umana. Il genere umano poteva anche scomparire dalla faccia della terra per lo stesso esaurimento del sole come dicevano gli scienziati. Mi diplomai con il massimo dei voti. Ormai studiavo come un autodidatta. Studiavo di giorno sotto un albero, in un parco, in un giardino, di notte con la luce accesa sulla scrivania. La luce rosata della lampada mi dava conforto, mi faceva pensare di essere in una fiaba moderna dove solo io ero la protagonista. La luce soffusa non abbagliava i miei occhi era rilassante, mi spronava ad andare avanti. La notte era lunga potevo fare molta strada. Durante la notte sorseggiavo un tè, mangiavo caramelle, ascoltavo musica. Di giorno passeggiavo nei parchi con un libro in mano. Il verde dei prati mi rilassava. Studiare all’aria aperta mi giovava. Univo l’utile al dilettevole. Leggevo, annotavo, appuntavo, correggevo persino sugli autobus, naturalmente quelli dotati di pedana. Ormai nella mia vita non c’erano amici, fidanzati, non c’era mio padre quasi sempre in viaggio per lavoro, né amiche, né parenti, c’erano solo i libri, cari compagni di viaggio, muti e fedeli amici di sempre, che non tradiscono, che confortano. Per me erano attenti interlocutori, assidui frequentatori della mia casa. Mi insegnavano cose particolari, mi facevano conoscere civiltà lontane, mi facevano vivere in modo indiretto ma vitale stupende storie d’amore. Mi identificavo in alcuni personaggi, mi ritrovano in certe situazioni descritte. Mi spingevano a meditare, a riflettere su certi argomenti. Stimolavano la mia fantasia, sempre comunque fervida. Mi ero creata un mondo di carta tutto mio, parallelo a quello reale, in cui vivevo giorni intensi, fantastici, irreali. Belli proprio perché fuori della trita realtà, dove io non mi ritrovavo, dove io ero esclusa. Era sicuramente un surrogato della realtà ma era l’unica cosa che potessi permettermi e che in aggiunta mi dava soddisfazione. La lettura mi forniva ogni giorno spunti per la scrittura. Scrivevo poesie, saggi, racconti, articoli, novelle, romanzi. Quando mi veniva l’ispirazione ero costretta persino ad alzarmi la notte o di giorno, anche in mezzo al traffico, ad appuntare i pensieri su piccoli fogli di una mini agenda tascabile, che portavo sempre con me. I pensieri, i concetti annotati poi diventavano scritti, racconti lunghi. Le idee iniziali si sviluppavano, davano vita a qualcosa di più profondo. Scavavo nella psicologia dei miei personaggi come facevo con me stessa, molti di loro avevano il mio stesso stato d’animo, la mia stessa visione della vita. Alcune volte mi calavo, scrivendo, nei panni di un uomo, e raccontavo seguendo la prospettiva e la visione di un uomo. Ero al tempo stesso un uomo, una bambina, un figlio, una nonna e ogni volta entravo nella pelle di qualche altro. Dentro di me c’era sempre stata la voglia di vivere almeno per un istante la vita degli altri. Spesso quando viaggiavo osservavo le case di passaggio e guardavo dentro per carpire qualche scena di vita familiare. Dal treno spesso avevo visto giardini animati di bambini, donne alla finestra e avevo immaginato la loro vita. L’avevo pensata molto diversa dalla mia, più allegra, più movimentata. Con il tempo avevo scoperto invece che nessuna rosa è senza spine e ognuno ha la sua croce da portare sulle spalle, piccola o grande che sia. Non ci sono esistenze perfette. In ogni vita c’è una crepa, uno squarcio, uno strappo da ricucire, o da lasciare aperto. Non ci sono esistenze paradisiache, idilliache. La vita è un continuo saliscendi, un avvicendarsi di alti e bassi, un incoerente guazzabuglio di novità più o meno piacevoli o spiacevoli a seconda dei casi. Non ci sono regole, non c’è rispetto per la natura umana. Il destino cieco colpisce da e toglie a suo piacimento. Le regole dell’universo erano state stabilite per me da una mente superiore, forse da Dio, ma sono incomprensibili alla mente umana. L’uomo in sostanza ignora le finalità ultime dell’universo. Non conviene affannarsi, rubare, lottare vendere l’anima al diavolo per ottenere piccoli vantaggi che non sono niente davanti all’eternità. La nostra esistenza di fronte all’abisso dell’eternità è solo un puntino di sabbia fine, destinato con il tempo a scomparire. Non serve discriminare gli innocenti, far del male agli altri se tutto finisce nel silenzio di una tomba. Solo l’anima sopravvive ma lei non ha certo bisogno di beni materiali, di ricchezze. I parametri utilizzati nell’altro mondo sono diversi. Siamo noi uomini che abbiamo messo paletti, confini anche dove non c’erano, che abbiamo razionalizzato tutto persino l’amore. L’amore nell’aldilà è universale, sconfinato, autentico. E’ un amore a tutto tondo, che riscalda, che vivifica, perché nasce dall’anima pura. Le anime corrotte non hanno pace, non trovano la luce. La luce è già dentro di noi basta cercarla. Bisogna accontentarsi di poco. In questo modo ogni piccolo passo avanti fatto potrà essere considerato come un dono. Non serve affannarsi per accumulare ricchezze. Tutto passa, si perde, scivola via. Solo l’anima resta intatta e si consegna all’aldilà. Per chi non crede a niente c’è solo questo mondo arido dove poter dimostrare di essere qualcuno. Ma la scena del mondo cambia sempre, ci confonde, ciò che è valido oggi domani sfuma via. Tutto cambia, si trasforma e il potere spesso è solo un’illusione. Gli uomini di potere sono soli con il loro potere e con l’ansia di superare gli altri. Mentre loro sono intenti a accumulare onori e denaro gli altri sono andati oltre. Bisogna trovare la propria dimensione in cui si è veramente oltre il tempo oltre lo spazio oltre l’effimero. Un domani nell’altro mondo non avremo più tempo, né spazio, né corpo forse saremo finalmente liberi. Liberi di esprimere le nostre idee, di agire, di pensare, di aiutare gli altri. Nel mondo fuori della vita saremo giudicati per le azioni positive. I nostri pensieri distruttivi saranno annientati. La nostra rigida divisione in caste verrà stravolta. Una immensa luce ci invaderà e vinceremo da soli il male del mondo.

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