31 dicembre 2000 (Romanzo epistolare)

Una vita difficile romanzo epistolareL’ultimo dell’anno è solitamente un giorno gioioso di festa, che io invece abolirei. Cosa si festeggia? La fine di un anno che ci ha visto magari sconfitti, sofferenti, tribolati o l’inizio di un anno pieno di insidie e punti oscuri. Chi ci assicura che il nuovo anno sia clemente? Il nuovo anno è solo un agenda con le pagine in bianco tutte da compilare. Il nuovo anno è un’incognita, un punto interrogativo, è l’ignoto che ci attira e ci fa paura. Il trentuno, san Silvestro, è un giorno spartiacque, divide dal passato e ci proietta nel futuro nebuloso. E’ un giorno che ho sempre trascorso in solitudine, a riflettere. Nessuno mi ha veramente invitato con il cuore. Non ho mai amato queste feste goderecce, piene di gente vanitosa a caccia di consensi. Le donne si presentano tutte piene di lustrini e paiette gli uomini tutti in tiro. La gente balla, si diverte allegra e non sa che ci sono persone che non possono ballare. Vedere ballare gli altri non mi divertiva mai. Preferivo leggere un libro, sonnecchiare, dipingere. Con l’animo malinconico riuscivo a fare dei quadri favolosi. I quadri più belli sono quelli fatti l’ultimo dell’anno. Volevo annullarmi, sparire, disintegrarmi. Volevo che fosse già il primo dell’anno. I primi tempi questo giorno lo vivevo con angoscia, con invidia per il divertimento altrui. Poi tutto è cambiato. L’incontro notturno con mia made mi aveva dato una forza, una carica indescrivibile. Mi sentivo un leone, energica, vispa. Dentro di me nascevano spinte incontrollate, mi proiettavo fuori e sprizzavo energia da tutti i pori. Ero come rinata, mi sentivo rigenerata. La mia mente era lucida, serena. Avevo la testa sgombra di pensieri pesanti come mi accadeva al mare, dove dimenticavo persino il mio nome. Avevo bisogno di dimenticare, di perdonare. La salvezza mi era venuta da un sogno notturno o magari fatto alle prime luci dell’alba quando la tradizione dice sono più potenti i contatti con i fantasmi. Io non avevo visto uno spettro, ma mia madre in carne e ossa che mi aveva salvata con la forza dell’amore. Ripensavo a quella frase contenuta in una chiesa di Spello che recita: lasciati investire dalla luce di Dio e vincerai le onde del male. Io mi ero lasciata investire dalla luce di Dio che mi illuminava però attraverso mia madre. In questo giorno particolare spesso passavo il tempo nella camera di mia madre ad annusare i vestiti che le erano appartenuti. In loro risentivo il suo odore, l’odore della sua pelle. Riguardavo i vestiti da sera che indossava per il trentuno. Altre volte passavo il tempo a pregare nascosta in qualche angolo appartato della casa. In questo giorno per me non vi erano amiche. Loro erano sempre impegnate a festeggiare con la loro famiglia. Anche loro avevano i loro impegni, i loro problemi. Ero contenta che anche la loro vita non fosse tutta rose e fiori. Comunque per me era difficile trovare veri amici. La gelosia e l’invidia spesso distruggono questo sentimento. Le donne sono rivali, gli uomini superficiali. Non sopportavo più lo sguardo superbo e perfido di alcune donne. Ne avevo la nausea. A un certo punto dovevo dire basta, allontanare queste persone malevoli e spregevoli. Ogni tanto facevo pulizia nella mia vita e azzeravo le amicizie ritrovandomi poi sola per il trentuno. Forse avrei voluto anche io l’abito luccicante, il cappellino, e lo spumante dolce. Volevo per una notte vivere senza freni, libera dimenticando la cattiveria, il sopruso, l’intolleranza. Mi domandavo: si può augurare il male a una persona già in difficoltà? Non è pura cattiveria? L’invidia mi sembrava il peggiore dei mali. Si invidiava di tutto persino una maglietta, un taglio di capelli. Le persone invidiose sono capaci di commettere delle bassezze e danneggiarci. Preferivo avere pochi amici selezionati, ma positivi ma questo restringeva di molto il mio campo d’azione. Nelle amicizie ero troppo selettiva, troppo ombrosa. Lo riconoscevo. Mi condannavo da sola alla solitudine, senza possibilità di appello. Ogni anno l’ultimo dell’anno mi sembrava peggiore del precedente. La gente era solo presa dalla febbre degli acquisti e non si curava del prossimo. A me sarebbe bastata una visita nel pomeriggio. Ma chi veniva da me il trentuno? Tutti pensavano al sontuoso cenone, ai regali. Anche i banchi in chiesa erano vuoti come la mia casa. C’era tanta abbondanza ma una impressionante povertà interiore. Tutti viaggiavano con auto potenti, pellicce e gioielli ma non pensavano a me sola in casa. In una grande città piena di gente faceva effetto il caos della strada con il vuoto della mia abitazione. Squallidi pregiudizi creavano barriere. Ognuno era condizionato dal giudizio severo del vicino di casa. Ora per esempio trascorrerò questo giorno a guardare le fotografie negli album di famiglia e le cartoline. Le foto di mia madre da giovane mi seducono. Nei giorni di festa le persone care ci mancano terribilmente. Chiudo sempre l’album, bagnato di lacrime, con un sospiro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.