Pesanti perdite

Pesanti perditeNel lavoro spesso ci impegniamo con frenesia, ci preoccupiamo della riuscita dei nostri lavori. Impazienti bramiamo solo ad essere apprezzati. Sfruttiamo tutte le nostre potenzialità per divenire ottimi collaboratori. Abbiamo obbedito ai superiori con freddezza e determinazione. Come apprendisti ci siamo impegnati seriamente. Il nostro volere era sempre quello di assecondare i dirigenti. Nel teatro del lavoro abbiamo imparato molte cose: a non mentire a se stessi, ad affrontare tutto con leggerezza e ironia, a non credere a tutto, a non godere degli errori altrui, a non lamentarsi mai, a non mostrare il proprio nervosismo, a non rispondere male, a non sfidare mai i dirigenti, a sfruttare le occasioni, a scommettere su un nuovo lavoro, a imparare strada facendo, a non criticare nessuno, a non inventare nulla, a non essere disordinati, a non essere mai furiosi, a non apparire timidi e paurosi, a rispettare i capi che sanno sempre il fatto loro. Spesso siamo rimasti impigliati in un sistema complesso dove era possibile solo sopravvivere. Molti colleghi ci hanno magari fatto dei dispetti di proposito e in noi è scesa una profonda tristezza, abbiamo provato rabbia, una specie di indistinto imbarazzo, ci siamo sentiti deboli, vulnerabili . Abbiamo vissuto scene degne di essere raccontate. Infatti abbiamo visto colleghi amici che all’improvviso, senza un reale motivo, non ci hanno più parlato. Ci hanno ignorato, sono passati oltre con uno sguardo tagliente. Mille scrupoli e dubbi hanno roso la nostra mente, pensando di essere noi i colpevoli. In quel clima fetido ci siamo sentiti in colpa. Sicuramente abbiamo offeso, sbagliato senza capire. Abbiamo poi scoperto che il collega che batteva la larga da noi era stato distaccato in un altro ufficio, più importante, più in alto. Il nostro collega, con cui avevamo un buon rapporto, ha fatto il salto di qualità e ha ritenuto opportuno, non solo non comunicarlo a noi, ma anche di eliminarci dal suo mondo. Inferociti ci siamo resi conto che gli altri erano solo dei rivali che si fingevano amici, pronti a uccidere se si fosse presentata l’occasione, pronti a buttarci alle ortiche. In quella situazioni avvelenata ci siamo svegliati distrutti con la voglia di non andare al lavoro. Siamo poi andati al lavoro non sapendo dove andare. Il bene che abbiamo dimostrato agli altri non contava. Chi è nella posizione di forza vince sempre. Nessuno quindi ci porta rispetto, rimane solo il rispetto per se stessi. Ci siamo consolati con una bevanda calda, accarezzando un gatto che forse capisce di più gli umani, pensando ai fatti nostri. Ci siamo resi conto di aver perso un collega, ma poi ci rendiamo conto che era un’illusione la sua amicizia. Ci era amico fin al momento in cui potevamo essere utili poi ci ha scaricato come un fagotto. Nei giorni successivi ovviamente nessuna telefonata, nessun saluto, un silenzio profondo come il mare. Poi guardiamo il sole, il mondo fuori e ci riconsoliamo. Nessuno può toglierci per fortuna il nostro mondo. La vanità non porta da nessuna parte, se non alla constatazione, spesso tardiva, ma pur sempre valida, che tutti dobbiamo morire. Il successo degli altri non scalfisce il nostro cammino e non tocca l’eternità.

 

Ester Eroli

 

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