Impariamo il… neonatese

Dacci oggi il nostro vagito quotidiano, dovrebbe dire, pregando, ogni neo mamma che stringe al petto il proprio frugolo di pochi mesi. In barba alle notti insonni e alla pazienza che si fa sempre più magra. I pianti, infatti, servono. Eccome se servono! E non perchè – come sostenevano, bontà loro, le nostre bisnonne – rinforzano i polmoni dei piccini e aprono loro le vie respiratorie, consentendo una rapida crescita. Bensì perchè il pianto dei neonati è nientemeno che un linguaggio vero e proprio. Si, avete capito bene: è il pianto il primo, ancestrale linguaggio della creatura che sboccia alla vita sociale. E’ con il pianto che quel piccolo essere che sembra arrivato dritto dritto da un altro pianeta, misterioso come un dolcissimo alieno. Ogni bisogno “fame, pannolino da cambiare, sonno, voglia di tenerezza” si traduce in un pianto diverso. A seconda del carattere del piccolino. Quando si diventa mamme occorre, insomma, imparare a capire il… neonatese, la cui grammatica è nascosta nel profondo del cuore. Quella creatura minuscola ed enigmatica, priva di parole com’è, non può che comunicare con il suo pianto. Così come con il suo riso. E’ facile, come si sa, interpretare il significato di una risata a garganella… Più difficile, invece, è orientarsi nei labirinti del pianto.
Compito delle mamme è, dunque, aguzzare le antenne dell’amore e decifrare i geroglifici di pianto della propria creatura. Il perchè è facile da comprendere: se il bambino fin dalla culla si sente capito e consolato nel modo giusto, compreso nei suoi bisogni, diventerà, va da sé, una persona più equilibrata, aperta al prossimo, pronta a capire anche le ragioni degli altri. Un piccolo cittadino, insomma. Una parola, direte voi, mica c’è il vocabolario per tradurre il neontaese! Il pianto non è costruito con avverbi, congiunzioni, pronomi, predicati verbali. Nossignore, ma si impara esercitando la grammatica dell’anima, Una mamma, insomma, è in sé una splendida traduttrice e interprete del neonatese del proprio piccolino.
Insomma, non è difficile decifrare il “neonatese”, se si saprà far palpitare all’unisono col piccolino il proprio forte cuore di mamma. Al prossimo pianto, dunque, invece di precipitarvi coll’ombelico in gola a placare l’infante, ascoltate i di lui gorgheggi, fermatevi a registrare nell’anima le modulazioni di quel tenero vagire, lasciate che la vostra creatura parli alle profondità della vostra sensibilità. Di seguito un aiutino, proveniente da un grande pediatra, Marcello Bernardi che ha scritto molti libri fondamentali per primipare e non alle prese con il lavoro (non pagato) e più difficile del mondo: educare i figli. Un libro per tutti, un libro da tenere sempre sul comodino: Il nuovo bambino (Rizzoli), un must per ogni neomadre, un best seller da un milione di copie, che pur se uscito nell’ormai lontano 1972, è ancora oggi molto letto e vivo e vegeto. Di seguito i piccoli, grandi consigli. Pianto disperato e inconsolabile: fame. Pianto a singhiozzo, da capriccio: sonno. Debole piantarello da noia: pannolino sporco, bisogno di tenerezza o qualche altro fastidio da bebè. Infine, una raccomandazione, se il bimbo ha la febbre (anche bassa), vagisce appena, con un lamento flebile da capretta stanca, se si presenta debole e privo di energia, correte a chiamare il pediatra!

 

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