Il male delle nostre università sta nell’incapacità di formare un giovane, nel dargli un pacchetto di conoscenze pratiche e aggiornate sul mondo attuale, nel relegarlo in un atteggiamento di attesa in cui si è costretti ad attendere la fortuna anziché sperimentarsi.
Del resto, la mancanza di un collegamento tra università e lavoro, purtroppo, è un problema che ci portiamo dietro da parecchio tempo, forse ultimamente qualche miglioria a riguardo si sta facendo. Tanto per citare un esempio, quando studiavo archeologia all’università non sapevo assolutamente della nascita di alcune cooperative archeologiche sul territorio italiano: dovetti laurearmi, uscire dall’università, avere la fortuna di quel mezzo definito “passaparola” ed ebbi modo di conoscerle e capire che bastava recarsi in soprintendenza per ottenere un elenco di tali cooperative. Nessun professore universitario di archeologia me ne parlò mai a lezione. Uno tra i tanti problemi di quest’Italia è qui: vedere oltre la propria scrivania. Ancor più difficile da risolvere in quanto non è semplicemente una questione appartenente ad una gestione, più o meno illuminata, di un Ateneo ma ad un processo culturale che in questo paese ancora stenta o, se volete, si affaccia ora timidamente.
Flavio Capone