Chintz

La parola chintz è una parola indi delle popolazioni Indu della India e significa variegato, colorato. Si tratta di un tessuto di cotone non sempre lucido resistente di tela o raso dai colori vivaci. Il cotone in India anticamente veniva dipinto e stampato a mano con l’uso spesso di blocchi di legno e nel seicento in India si raggiunse l’apice del suo sviluppo e della sua conoscenza. Essendo resistente si usava per l’arredamento , la tappezzeria oltre per decorazioni e si usava per fare divani,  copriletti, tende, poltrone,  cuscini. I disegni su sfondo chiaro venivano dipinti  e stampati  a mano di solito fiori e elementi di natura. I colori sgargianti brillavano su fondo chiaro. In Francia nel seicento si diffuse un tipo con paesaggi stampati e medaglioni con personaggi storici famosi su fondo bianco. In Francia si diffuse la moda di tendaggi  e trapunte in lana o seta. In Europa furono commercianti portoghesi e tedeschi a diffonderlo nel seicento. la stoffa fu chiamata con vari nomi e subi nelle decorazioni influssi orientali. A livello popolare si usarono varie decorazioni colorate di figure, fiori, uccelli, piante, alberi ecc.  e si fecero pure gonne, grembiuli,  vestaglie e giacche da uomo con immagini di fiori  e ruscelli più piccoli. Ci si accorse che il colore verde sbiadiva con i  lavaggi  e si usarono per questo altre tecniche di produzione. In Gran Bretagna la stoffa costava e si facevano vestaglie rifinite in oro  e argento che venivano esportate. Si importava la stoffa pure dall’India stessa. Per un certo periodo per proteggere la produzione interna di altre stoffe in Francia  e in Inghilterra si vietò la importazione di questa stoffa che era molto competitiva sul mercato in quanto più  leggera della lana. Si creò un mercato nero parallelo dove la domanda era sempre crescente. In Francia Maria Antonietta decorava la reggia con questo cotone indiano che divenne uno status symbol e lei fu molto imitata dai nobili. nel 1760 fu pubblicato un libro di un viaggiatore francese sulle caratteristiche di questa stoffa che si poteva abbellire di motivi indiani e disegni regionali persino di araldica oltre che nastri e  paesaggi e stemmi nobiliari. Ci si ispirava per i disegni anche alle carte da gioco. La procedura di produzione all’inizio si basava su un semi sbiancamento  con latte di bufala e poi il tessuto era lucidato  e inumidito.  Il pittore faceva i disegni prima su carta e poi su stoffa con la polvere di carbone  e pennelli. Dopo molto spesso la stoffa subiva una immersione nell’indaco e si metteva al sole. Si potevano fare più  emersioni,  più sbiancamenti e più lavaggi. In Europa non si riuscì molto bene ad imitare la procedura di produzione indiana. Poi si usarono nuovi metodi per agevolare la produzione e ridurre il tempo. Si usarono i blocchi di legno che però non consentivano la tenuta del colore. Gli esperimenti inglesi introdussero nuovi metodi di stampa. Nel settecento sorsero delle industrie che usavano le macchine a stampa con cilindri di rame.

Ora si produce questa stoffa a basso costo in modo rapido con coloranti sintetici  e silicone. Si sono usati pure cilindri carici di colore per velocizzare la produzione con cilindri di varie dimensioni. Per la lucentezza si ricorre alla resina vinilica.

I prodotti attuali sono di qualità inferiore a quelli artigianali originari e sono ottenuti con procedure meccanizzate e con elementi sintetici. Molte tradizioni in questo modo vengono modificate e alterate.

 

Ester Eroli

 

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