Quando il battito d’ali d’una farfalla è così potente da creare una tempesta dall’altra parte del mondo. Quando il passaparola tecnologico si propaga da Egitto e Tunisia, passando per la Libia e valicando il mare nostrum, e raggiunge Spagna e Italia. Il tutto attraverso il mare magnum della rete Internet, su cui ogni protagonista dispiega le vele della sua piccola barca, e naviga, il più delle volte a vista.
Il rischio che le proteste giovanili di questi ultimi tempi si esauriscano come una bolla di sapone, evaporando senza eccessivo clamore, è elevato: a motivo di ciò, sarebbe opportuno che l’energia prodotta da questa mareggiata venisse incanalata e da un capitano saldamente portata verso l’approdo. Altrimenti verrebbero a costituire facile preda per i delfini che militano nei gruppi giovanili politicizzati: da qui, a passare tra le fauci degli squali, non intercorrono molte miglia.
Il 16 gennaio del 1969 nella piazza san Venceslao di Praga sappiamo tutti cosa accadde: che un gruppo di giovani decide di effettuare un estrazione a sorte per decidere l’ordine in cui essi bruceranno, per dare visibilità alla protesta contro l’occupazione sovietica. Il mito del primo estratto entrerà di diritto nella storia: lo conosciamo più o meno tutti, Jan Palach. Morirà dopo tre giorni, e il suo funerale sarà seguito da un milione di persone. A che scopo? Solo negli anni Novanta la Cecoslovacchia conoscerà il significato della parola “indipendenza”: questa la volontà popolare, non l’occupazione militare dei sovietici, che come invocata dal popolo volevano farla apparire.
Pur non giungendo a tanto, la storia odierna dimostra che, se non nasce un movimento dal basso, saranno sempre le solite facce a decidere sul bello e sul cattivo tempo. Ciò che conta è che il tutto si svolga pacificamente, senza violenze, non assumendo sfumature politiche e non nascondendosi dietro le bandiere delle ideologie. Quello, è un periodo di cui si leggerà solo sui manuali di storia, purtroppo non scevri da parzialità: ma questa è materia per un altro scritto.
Mauro Balbo