Distanze

Nel tempo che stiamo vivendo il coronavirus ci ha costretto a ripensare tutti i rapporti interpersonali. La pandemia ci ha costretto a ridisegnare spazi, consuetudini, abitudini, a riplasmare la nostra vita, a mutare i contatti con gli altri. Si è imposto a tutti il distanziamento sociale. Occorre in altre parole mantenere le distanze a ogni costo. Sono vietati assembramenti, giochi di gruppo, cene con molti amici. La cultura della solitudine ha avuto la sua consacrazione ufficiale. La felicità può e deve essere solo domestica, relegata alle quattro mura di casa. Solo con i parenti stretti si può avere un rapporto ugualitario e condividere interessi. Tutti gli altri rapporti sono sfumati, dissolti. Abbiamo appreso in buona fede che era necessario distanziarsi. Ogni tenerezza e romanticismo dovevano   essere tenuti sotto controllo. Per alcuni soltanto è stato un colpo mortale, per altri una sciocchezza.

Osservando bene la situazione ci siamo resi conto che già da prima si mantenevano le distanze. Dirigenti che ci guardavano dall’alto in basso, restii a prendere l’ascensore con noi comuni mortali , donne bellissime che in treno ci guardavano con sussiego e senso di superiorità e che non volevano parlare con noi, intellettuali con la puzza sotto il naso che uscendo dalle loro villette ci guardavano con orrore solo perché occupavamo il marciapiede sotto casa loro, ragazzi che ostentavano le loro ricchezze con cinismo e che prendevano le distanze dalla povertà.

Quindi non dobbiamo infuriarci se la reciprocità è finita. Siamo abituati a parlare da soli. L’unica garanzia è la nostra compagnia. Gli altri sono negativi, portano male, sono curiosi. Ci culliamo solo nella speranza che questo barbaro materialismo un giorno possa finire. Tuttavia appare una chimera. Scioccamente continuiamo ad ignorare i signori della porta accanto. Non proviamo neppure un approccio abbiamo la scusa bellissima del coronavirus non che prima fossimo intenzionati a rompere il ghiaccio.

 

Ester Eroli

 

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