Il culto della fisicità, ovvero il peso della bellezza

Non sempre “bellezza” fa rima con “magrezza”. O, quantomeno, il binomio deve fare spazio al sostantivo, che nella cultura moderna è considerato il terzo incomodo, la “grossezza”. Volutamente si eviterà qui l’uso del suo dispregiativo, “grassezza”, indicando quest’ultimo l’idea di adiposità che conduce non solo ad un aspetto poco armonioso ma anche ad uno stile di vita insalubre.

Sarà che il corpo è il tempio dell’anima. Che la plasticità del movimento viene naturale se prodotto da una corporatura esile o magra. Che l’eleganza sprigionata attraverso abiti avvolgenti ha un impatto visivo immediato. Fatto indiscutibile è lo spadroneggiare della linea di pensiero che vuole la magrezza sia la quintessenza del successo. Lo dimostrano i successi di una chirurgia plastica e di una scienza dietetica sempre più prominente verso un diktat estetico unico ed univoco piuttosto che verso un salubre stile di vita.

Lo dimostra, ad esempio, la proposta di dott. Dukan, autore della discussa dieta, balzata agli onori della cronaca rosa dal giorno in cui in un fastoso ma asfittico abito di Alexander McQueen la borghese Middleton diventa duchessa di Cambridge e futura principessa consorte. Il dottore ha proposto di diminuire il voto di maturità agli allievi che durante le superiori non abbiano dimostrato un fisico asciutto o, nel caso di una costituzione grossa e di un metabolismo lento a bruciare calorie, una costante attenzione alla dieta (Corriere della Sera, 5 gennaio). Non trattandosi di una provocazione, bensì di una proposta corroborata da un libro scritto ad hoc e fresco di stampa, la reazione negativa dell’opinione pubblica e del Ministro dell’Istruzione francese non si è fatta attendere né a lasciato adito a dubbi.

Il punto della questione è che si è travalicato il confine tra salutismo e culto della fisicità, parafrasando quello della personalità di recente memoria. Come per quest’ultimo, anche il culto della fisicità è univoco e non lascia spazio al dubbio, alla razionalità, al pensiero, alla diversità, da cui si sono sviluppate tutte le arti e le intellighenzie. Tutti tendono verso un idealtipo, inteso come la chiave che schiude le porte sociali e, talvolta, lavorative. Non si tratta di cura di sé e bellezza in sé.

Magra, questa sì, consolazione ma pur sempre un risvolto positivo è il ricorso storico. Per cui nei periodi di crisi, come quella attuale, si predilige il calore di rassicuranti curve sinuose purché in salute ed armonia. Un modo per arginare da subito quel culto della fisicità che, se associato al darwinismo sociale, di cui possono a ragione considerarsi esempio le stragi prenatalizie di Liegi, Firenze e Roma, si preannuncia come un funesto squarcio nel cupo orizzonte  europeo.

 

Pamela Cito

 

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