Prestare

Spesso siamo soliti prestare oggetti, abiti, accessori, penne, diari, quaderni, libri, giornali con naturalezza. Non facciamo domande, non vogliamo sapere nulla, non aggrottiamo la fronte, in altre parole non ci rifiutiamo. Con un bel sorriso senza ombra di orgoglio cediamo l’oggetto chiesto in prestito senza fare storie, non difendiamo l’oggetto desiderabile perché pensiamo di poterlo avere indietro dopo qualche tempo.  Facciamo appello alla coscienza individuale. Non ci intromettiamo perché pensiamo che la gente sia come noi, educata, pronta alla restituzione dopo un uso corretto. Non neghiamo il prestito a nessuno, non siamo inflessibili. Se una collega ci chiede in prestito una cintura elegante per una cerimonia la portiamo, se un collega ci chiede in prestito un radiatore che abbiamo in ufficio per la stanza lo cediamo senza tante cerimonie con la speranza di rivederlo. Puntiamo sull’influsso che esercitiamo su amici e colleghi. Prestiamo ogni cosa con fiducia e facciamo favori in modo generoso. Non ci mostriamo seccati, non ci ribelliamo. Esiste il rischio di non riavere l’oggetto ma non ci pensiamo, ci sembra una questione remota, priva di senso.

Il senso di angoscia comincia quando abbiamo bisogno dell’oggetto prestato e tentiamo di riprenderlo. il collega, l’amico, il cugino, la zia menano il can per l’aia. L’attesa della restituzione ci logora. Con l’amaro in bocca pensiamo di aver perduto una cosa preziosa e ci pentiamo di averla messa nelle mani sbagliate. Telefoniamo per chiedere notizie, ci fanno promesse vane. Allora diventa un gioco al massacro, ci perdiamo in labirinti di parole e giuramenti di restituzione. L’attesa ci consuma, ci fa rabbrividire il pensiero di non vedere più il nostro vestito, il nostro borsello. Non sappiamo come agire, se giocare d’astuzia, o attendere pazienti una mossa. L’attesa è atroce, snervante. Scriviamo email alla persona, lanciamo messaggi in codice, la invitiamo a pranzo o a cena con una scusa. Certe volte la salvezza ci sembra vicina e poi tutto ripiomba nel buio. La persona non ci restituisce un bel niente, divaga, finge di non ricordare o forse non ricorda proprio. Tentiamo di andare a casa della persona, di farci invitare, di ricordare l’episodio in cui abbiamo fatto il prestito. Alcune persone fingono noncuranza, sono evasive, ci evitano. Allora cambiamo tattica, assumiamo un altro atteggiamento, facciamo richieste più esplicite. Ci sentiamo delle vittime quando teniamo all’oggetto. Come bambini la notte sogniamo la nostra collana, il nostro romanzo, la nostra spilla. Spesso il destino ci punisce e gli oggetti ci vengono ridati ma rotti, gli orecchini hanno perso una perla, uno si è perduto. Troviamo oggetti diversi, ci vengono ridati oggetti simili ma non uguali. Molte donne perfide ci restituiscono apposta oggetti rovinati. Facciamo buon viso a cattivo gioco ma dentro ci sentiamo offesi. Alcune persone dopo aver restituito dopo fuori tempo massimo gli oggetti e magari rovinati hanno pure l’ardire di dire che sono oggetti pessimi, di scarso valore, che ora loro li hanno comprati migliori del nostro. Dopo il danno subentra l’ingiuria. Il nostro oggetto non valeva niente, era di pessima fattura, non ha fatto la sua figura, allora perché è stato chiesto in prestito con tanto ardore? Ci ritroviamo fra le mani libri privi di pagine, macchiati di caffè, pieni di scritte, collane con la chiusura rotta, camicette sporche di rossetto, fazzoletti macchiati.

Bisogna sempre vedere a chi facciamo il prestito. Non possiamo credere di mutare i malvagi.

 

Ester Eroli

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.