La conclusione della conferenza di Cancun: un accordo promettente per la riduzione delle emissioni

La conclusione della conferenza di Cancun un accordo promettente per la riduzione delle emissioni

I delegati dei 190 paesi presenti a Cancun hanno ottenuto, al di là  di ogni più rosea previsione, dei risultati incoraggianti, dopo la conclusione della conferenza Onu sul clima il 10 dicembre scorso.

Il documento finale infatti annulla il fallimento del precedente vertice di Copenaghen e avvia una collaborazione globale per fronteggiare il problema climatico.

I governi dei due maggiori inquinatori del pianeta, Cina e Stati Uniti, inizialmente erano in una posizione di chiusura verso qualsiasi impegno vincolante, mentre la controparte, quindi i Paesi più direttamente in pericolo per l’aumento della temperatura globale, quali le piccole isole e l’Africa minacciata dalla desertificazione, richiedevano una drastica riduzione delle emissioni.

Ricordiamo che gli impegni raggiunti a Kyoto nel 1997, sono stati rispettati solo da un ristretto gruppo di paesi industrializzati, dai quali gli Stati Uniti di Bush si sono dissociati.

Ma la battaglia per la stabilità del clima non può essere vinta senza coinvolgere anche Stati Uniti e Paesi emergenti, ora fortemente inquinatori a causa del ritmo incessante di sviluppo delle loro economie. Infatti pare, a detta della Nasa, che in novembre le temperature medie in superficie siano state le più alte della storia.

Tuttavia, tenendo conto dei divergenti interessi dei Paesi che hanno partecipato alla Conferenza, si può ritenere il documento finale raggiunto più che soddisfacente.

La Cina infatti ha accettato i criteri di trasparenza nei controlli sulle emissioni richiesti insistentemente dagli USA e si è dimostrata disponibile ad accettare impegni vincolanti, dopo la scadenza del Protocollo di Kyoto.

Anche l’India si è dimostrata disponibile in questo senso, mentre i Paesi maggiormente a rischio hanno ottenuto importanti garanzie con la nascita di un Green Climate Fund da 100 miliardi di dollari all’anno, per aiutare le nazioni in via di sviluppo ad adattarsi ai cambiamenti climatici, ad esempio con la costruzione di dighe contro l’innalzamento dei mari, e ad ottenere tecnologie pulite per ridurre le emissioni.

Per questo viene istituito un Comitato tecnologico per valutare le possibili iniziative e anche un Centro per la tecnologia climatica che cercherà di costruire un network planetario, dove scambiare richieste e offerte di soluzioni per il controllo delle emissioni.

Il documento finale include anche un programma per cercare di arrestare la deforestazione nei paesi tropicali, che contribuisce considerevolmente al riscaldamento planetario, perchè priva il pianeta del suo “polmone naturale”.

Il testo approvato dall’assemblea mondiale resta solo troppo vago sulle modalità per raggiungere questo obiettivo, che quindi saranno precisate al vertice di Durban del dicembre 2011.

Purtroppo la questione centrale, ovvero gli impegni dei singoli paesi per ridurre le proprie emissioni entro il 2020, resta aperta, perchè il documento finale si limita ad auspicare che i tagli diventino più ambiziosi. Secondo il ministro inglese all’Energia e il Clima, Chris Huhne: “questa intesa rende più probabile l’impegno europeo per tagli del 30% entro il 2020”, contro il 20% attualmente previsto dalla cosiddetta direttiva 20-20-20.

In conclusione, le trattative hanno raggiunto l’obiettivo principale di una propositiva collaborazione globale tra paesi con divergenti interessi economici e consumi energetici.

 

Casagrande Antonietta

 

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